
Betty Boop, la prima sex symbol
del cinema di animazione degli anni 30
Parlare di Betty Boop nel 2022 è una strana storia. Storia perché sono passati 92 anni dalla sua nascita, strana perché tutti conoscono – e al tempo stesso, non conoscono – Betty Boop.
La prima sex symbol del cinema di animazione degli anni 30 ammicca oggi su una carrellata infinita di prodotti che spaziano dall’abbigliamento per bambini a tazze stampate e action figure, ma in pochi sanno che Betty inizialmente aveva un altro nome e che le sue sembianze non erano… umane.
Le prime apparizioni di Betty
Partiamo dall’inizio. Siamo nel 1930 e nel Talkartoons dei Fleischer Studios “Dizzy Dishes” Bimbo, il cagnolino protagonista, è indaffarato a servire una clientela molto esigente ai tavoli. Il suo sguardo viene rapito da una creatura le cui sembianze sono un incrocio tra una flapper e un barboncino francese, con tanto di muso canino e due grandi orecchie. L’oggetto del desiderio di Bimbo ricompare nello stesso anno in “Barnacle Bill” con il nome di Nancy Lee: delle informazioni anagrafiche provvisorie e fuorvianti visto che stiamo delle prime apparizioni di Betty Boop.
Grim Natwick, veterano della Disney e dello Studio Iwerks, si occupò della creazione del personaggio ispirandosi a Helen Kane, una nota cantante dell’epoca poco incline ad apprezzare l’omaggio: fece causa ai Fleischer e alla Paramount Publix Corporation per lo sfruttamento della sua immagine, chiedendo ben 250.000 dollari, e la perse. In seguito Natwick non ebbe problemi ad ammettere che il primo look di Betty Boop fosse a suo dire discutibile e si impegnò personalmente a ridisegnarla nel 1932. Il muso da cane se ne andò per primo, cedendo il posto a un nasino da sapiens e solo successivamente le grandi orecchie si trasformarono negli iconici orecchini a cerchio con cui la ricordiamo ancora oggi.
Avendo vinto la sua sfida nei Talkartoons ed essendo diventata un personaggio amatissimo, Betty Boop venne promossa protagonista di una serie tutta sua nel 1932. Il successo sancirà la vertiginosa ascesa e la successiva caduta di un mito talmente controverso da far insorgere il pubblico conservatore e allertare le linee censoree del Production Code.
Ma questa è un’altra storia.